venerdì 17 dicembre 2010

KALEIDOSCOPIO

Dovrei guardare bene sul dizionario cosa significa, ma ricordo che era un insieme di colori e di immagini che riempiono lo sguardo. Essere all'aereoporto con Barbara ed Emanuele è la stessa cosa. Quando stamattina ho portato le valigie con Emanuele, mi è piaciuto rispondere alle sue domande su quanto sia difficile il rientro, quanto ti abbia cambiato questa esperienza, quale sia la sensazione più bella, ... il regalo più bello, adesso, è essere insieme. Le ultime due ore a cercare di ridere ancora delle nostre avventure, a cercare di non piangere sapendo che ci stiamo allontanando. All'aereoporto a salutarci viene addirittura l'impresario, avvisato da chi non si sa...non siamo riusciti a salutare tutti, ma tutti sono nel nostro cuore. Per un attimo distraiamo il pensiero da questo "arrivederci", duro come un macigno. E chi l'avrebbe mai detto ?

Una voce annuncia l'imbarco. Un abbraccio è poco, ma è quel che possiamo regalarci. Lasciamo scorrere le lacrime, impensabile di trattenerle. Ciao Garoua, ciao Ema, ciao Mozzo...on est ensamble...

Il volo è stato anticipato. Sabato 18.12.2010 atterriamo in Italia.

Buon Natale a tutti. Cri & Ross

14.12.2010, notte

"Notte prima degli esami" è una vecchia canzone di Venditti. Per noi che l'abbiamo vissuta ed è ancora viva nei nostri pensieri, è stata una notte piena di pensieri, di paure, di ansie e di speranze. Ma la costante era che ...non dormivi. Ed eccoci qui, anche noi, con gli occhi fissi a guardare il soffitto, a captare gli ultimi rumori del giardino, ad aspettare il telefono di Abrham che suona, a farci mille domande...abbiamo fatto qualcosa, qui in un anno e poco più ? Abbiamo creato legami che possano durare nel tempo ? Abbiamo lasciato una piccola traccia del nostro passaggio ? Se fossimo sinceri con noi stessi, dovremmo dire di sì. Qualcosina abbiamo fatto, ma resta il dubbio che resti ancora molto da fare. Andare via così, "di corsa", è un po' come scappare. Ma non ci sarebbe mai fine, quel giorno della partenza non arriverebbe mai...allora ti resta di guardare le valigie appoggiate al muro, pieni di ricordi e di sensazioni, appoggiare la mano al muro per cercare ancora quel calore di questa terra che scotta, sentire se i tuoi vicini di stanza dormono, ...

E' la nostra ultima notte a Garoua, domani si parte per la capitale...tutto sembra finito in un attimo. Un bellissimo quadro appoggiato alla porta è il regalo di amici che hanno camminato con noi. Difficile non piangere nel leggere il loro ultimo saluto.

PENSIERI RUBATI

E' bello starsene seduti intorno ad un tavolo, intorno ad una birra (che poi sono l'unico ubriacone del gruppo...) e raccontarsi i nostri pensieri. Pensieri che adesso voglio "rubare" e condividere. L'altra sera si ragionava sul nostro anno in Africa. Difficile, duro, bello, intenso...soprattutto la sensazione di aver messo in campo risorse che non sapevamo di avere. L'Africa, da questo punto di vista, ti sveglia. Ti impone di trovare soluzioni, di arrangiarti, di pensare oltre, di guardare in ogni direzione. E per noi che siamo abituati al "tutto e subito", al chiedere e comprare...bhe, ragazzi, qui non c'è storia. Ma ci ricordiamo i primi giorni in cui diventavamo matti per il ritmo lento ? perché le cose non si trovavano ? perché tutto si rompeva ? perché nulla girava per il posto giusto ?...qui la vita si assapora lenta, giorno per giorno. Come sarà rientrare, soprattutto sotto le feste di Natale ? Forse un caos difficile da reggere. Intanto qui si sta preparando il pranzo di Natale con tutti i dipendenti delle strutture. Quest'anno i regali sono semplici ma essenziali. Due litri d'olio, del sale e del sapone. Anche qui si insegna a regalare cose utili. E noi, come siamo messi ?

RAMATOU

Siamo a Saare Jabbaama per i saluti agli educatori ed ai ragazzi. Fra pochi giorni partiamo ed allora eccoci in giro per le strutture per un saluto finale.
I ragazzi più grandi stanno ripulendo il mais per il pasto serale; i più piccoli sono a scuola. Arriva una macchina con Jacques e Ramatou, l'unica educatrice femmina. E' in maternità perché un mese fa ha partorito una coppia di gemellini. Da quando si è dedicata forzatamente alla gravidanza, non ha più messo piede a Saare Jabbaama. Quando i ragazzi la vedono le corrono incontro entusiasti, per loro è come se fosse una mamma. Le strappano di braccio i piccolini, la riempiono di baci ed abbracci e si coccolano i neonati. E' una immagine bellissima, di una dolcezza e di una semplicità disarmante...dei ragazzi di strada, che non hanno quasi più famiglia, che si prendono cura dei fratellini più piccoli con un amore sincero e totale. E' bello esserci, per riassaporare ancora una volta i valori veri di questa vita.
Parlare con Ramatou smuove l'anima. Il primo compagno è scappato quando ha saputo che era incinta; lei se n'è andata di casa perchè osteggiata dalla famiglia. Il suo nuovo compagno, padre dei due piccolini, è senza lavoro. E lei, a Saare Jabbaama, era una volontaria, senza stipendio. Eppure è qui, grazie anche al contributo della struttura, con il sorriso di sempre.

GORGES DE KOLA

(pubblicato in ritardo)
Ultima gita, qualche settimana fa, alle gole di Kola. Posto strano, un po' lunare, in mezzo al nulla. Segui una pista, trovi un cartello, parcehggi l'auto e prosegui a piedi. Nulla di diverso da una qualsiasi altra gita. Ed ecco la roccia in mezzo alla sabbia, l'acqua in mezzo all'arsura, lo stupore semplice di scoprire ogni giorno cose nuove. E' come stare dentro un torrente. La roccia nera brucia i piedi, la luce acceca ogni cosa...
Quando rientramo in superficie troviamo refrigerio sotto un boukarou. Mangiamo il nostro panino preparato come al solito all'ultimo. Ad osservarci ci sono i soliti ragazzini, pronti a raccogliere le briciole che cadono. Ancora una volta resto colpito da questa "miseria".

L'ECOMOSTRO

(pubblicato in ritardo)
Giornata folle, ma si doveva fare. Da sette anni c'è in giardino il container verde con dentro...non si sa bene cosa. Dovevo affrontarlo. E siccome adesso ho bisogno di spazio e stiamo cercando di infilare tutto dentro l'ospedale (tutto quel che serve), l'ho attaccato. Su un lato, dietro pezzi di mobiletti (stile ikea) da montare, ci sono sei letti d'ospedale. Quelli che servono per completare il day hospital. Tolti quelli, sull'altro lato, appare l'ecomostro. Ne avevo sentito parlare, sapevo che c'era. E adesso è lì, davanti a me. Posso toccarlo, ma lo prenderei volentieri a martellate. E' una macchina per la radiologia. Credo sia degli anni 80. Dopo pranzo siamo andati tutti in visita (io, Barbara, Emanuele e la consulente tecnica Cristiana). Confermato. E' degli anni 80. Funzionerà ancora ? Chi la sa montare ? Il tempo oramai volge al termine, sarà la missione di qualcun altro. Non posso farcela. Resterà lì ancora per altri sette anni ?

CAM [7]

(pubblicato in ritardo)
...storia di una tanichetta spersa in un container...
Quando ti imbatti nella voglia di mettere ordine in quello che resta nei container, può capitare di scovare in fondo ad una cassa una piccola tanica che ti era sfuggita. Allora la guardi incuriosita, perché forse è quello che cercavi da tempo, che non saltava mai fuori ed ora che hai quasi finito...eccola lì. E' la curiosità a trasportarti, a prenderla in mano, leggere l'etichetta...profumo per auto. 5 litri....vi siete dimenticati di inviare anche il profumatore. Lo aspettiamo, eh ?!

domenica 12 dicembre 2010

LA STRADA DEL RITORNO

...chi viene in montagna con me, sa che non amo tornare per lo stesso sentiero.

Non so perché, ma è così. Sembra di tornare indietro, invece a me piace arrivare a casa per una strada nuova. Sarebbe bello tornare in italia attraversando il deserto o risalendo la costa ovest dell'africa. In macchina. Quante volte ne abbiamo parlato con Barbara ed Emanuele...sarà il prossimo sogno.

Per oggi purtroppo mi tocca rientrare dalla città per la solita strada. La faccio mille volte al giorno...ma si vede che si avvicina il nostro rientro ed allora sento già che questa terra un po' mi manca già. Mi mancherà la tranquilla frenesia del nostro fare, del nostro convivere con altre persone, di sapere che ogni giorno sarà un'esperienza nuova. Non mi sono mai interessato di sapere o capire cosa sia il mal d'africa. Tanti ne parlano. Adesso provo a pensarci e credo che per me sia il modo di vivere qui. A volte irritante, molto spesso libero da schemi e condizionamenti. I vincoli, i limiti - se vuoi - te li metti tu. E qui non c'è la rincorsa al "tutto", concorrenza sul posto di lavoro, televisione che ti toglie il pensiero, ...c'è invero la fame, la povertà, la morte. Ma dietro tutto c'è il sorriso, la mano che chiede e che ti offre il suo aiuto. Ci sono molte cose che a casa non abbiamo, o abbiamo dimenticato. Chiusi nel nostro mondo. Questo è un altro mondo, è vero. Nel bene(ssere) e nel male(ssere). Ma chi aveva provato a descriverci l'africa, ha dimenticato mille e mille cose. Nemmeno noi riusciremo a trasmettere agli amici la nostra esperienza. Allora come si fa ?

CAM [8]

...storia di "rosso malpelo" in cameroun...

Ero in città per le ultime compere, nulla di particolare. E' vero che stamattina alle 6 c'erano 13 gradi (lo dice il dottore), ma nulla di così insolito nell'aria. Vado dal solito venditore, che mi avrà già visto mille volte, e mi imbatto nella consueta cassiera (che invero ci tiene tanto che la saluti, ...mi ha fatto notare che una volta non l'ho salutata con dovuto riguardo...mah). Ma capisco che oggi mi guarda strano, un po' trasognata. Non perché io sia diventato più bello, ma chissà quale nuovo ingranaggio si è mosso nella sua testa. Forse era tanto che aveva sulla punta della lingua questa domanda, chissà...allora ha preso coraggio e mi ha chiesto se i miei capelli rossi sono veri. "100 % !" ci pensa un po' e poi mi chiede: "e la barba, rossa anche quella, è vera ?"...


06.12.2010

...eccola la cigliegina ! Dopo tanto penare, tante discussioni, tanto tempo perso...è finalmente arrivata una dottoressa camerunese. Nel frattempo ce ne siamo fatte scappare almeno due. Vabbé, gioiamo perchè questo ospedale possa anche nei servizi essere dei camerunesi, con medici ed infermieri locali. Voto per l'indipendenza. Fa crescere. Non vorremo mica avere mille colonie in giro per il mondo, no ? Qui abbiamo tutti da imparare, e da condividere. Anche da insegnare, alle volte. Ma il cambiamento deve venire da dentro, da loro. Cristiana lascia con piacere il suo posto. Sarebbe stato auspicabile succedesse prima, in ogni caso con la nuova dottoressa ci sarà anche il servizio di pediatria (almeno si spera che si voglia cogliere questa opportunità).
Così, a tempo perso, Cristiana continua nella sua formazione sull'impiego dell'ecografo e farà un corso di educazione alla sessualità alle ragazze della Maison de Jeunes et de la Culture. Sono ragazze che non hanno la possibilità di andare a scuola (mancanza di soldi) e che cercano di imparare un lavoro; nelle ore di frequentazione della MJC hanno chiesto anche la disponibilità di Cristiana...perché no ?

PARTIAMO?

....e sia ! Finalmente un tardo lunedì del mese di novembre abbiamo aperto i battenti della nuova ala dell'ospedale. L'apertura è ufficiosa, l'inaugurazione sarà a gennaio...ma a quel punto noi saremo già in italia. Poco importa dell'ufficialità (almeno a me, poco importa); sono contento perché ora possiamo dire che iniziano a vedersi i frutti del nostro lavoro. Un po' mio, un po' degli altri volontari, ... e molto degli operai camerunesi. Mi piace pensare che abbiano davvero compreso che è il loro ospedale, e non il nostro ospedale. Noi ce ne andremo, loro resteranno e potranno gioire per i servizi che l'ospedale potrà loro fornire. Sembra scontato, ma nei momenti di duro scontro con l'impresario, di difficoltà nel continuare i lavori, di imprecisione nelle esecuzioni...ricordare che l'ospedale è per loro ha cambiato il modo di "vivere in cantiere". Credo non avessero mai colto questo aspetto; credo lavorassero per un lavoro, per un salario. Ma non può essere solamente questo. Ne siamo tutti convinti. "Gettare le basi" significa anche questo.
In ogni caso, quando ho visto i primi pazienti attraversare il corridoio ho avuto un brivido...di soddisfazione, di emozione e di gioia.
Di lavoro ce n'è ancora da fare, ma si lavorerà nelle retrovie. Adesso sposteremo i vari servizi nella nuova ala e rimetteremo a nuovo i vari locali che si libereranno. A piccoli passi, ...partiamo.
Rivedendo le foto dell'ospedale quando sono arrivato e quelle di oggi...non ci posso credere. Mah !? Adesso ci vorrebbe la cigliegina sulla torta...

17.11.2010

Festa del montone. Ma quest'anno conosciamo molta più gente, e pertanto fioccano gli inviti a casa. E non si può rifiutare. Qui è una festa molto sentita. E fa piacere in ogni caso vedere tanta attenzione.

Siamo stati a casa della sorella di "pesce lesso" (così Angelle chiama un musulmano, per il suo aspetto dal viso un po' allungato e dall'espressione un po' addormentata). Ragazzi, che casa ! Arredata con stile (metà africano, con influenze europee), poltrone classiche da salotto veneziano, vetrinetta con un sacco di pentole in bell'ordine, condizionatore a palla, tappeti lussuosi, luce soffusa,...in collegamento con la Mecca su tv satellitare. Colpisce che siamo così diversi ma alla fine si riesce a stare tranquillamente seduti nella stessa stanza a parlare di Corano, Ramadan, Moschee e preghiere. E loro ci tengono a farti partecipe della loro religione, ma senza pressione. Non c'è ostilità, solo un gran senso di rispetto reciproco. Siamo stati bene, abbiamo mangiato un ottimo montone con una salsina eccezionale, bevuto foulerè, ...

15.11.2010

Secondo compleanno in Africa. Giornata semplice, una torta in casa in compagnia. Tanti messaggi di auguri sul telefonino e sulla mail. Un grazie ancora a tutti.

Ma com'è passare il compleanno qui ? Dipende da come lo vivi. Io non ci faccio mai molto caso, mi è sufficiente che la giornata sia bella e che possa prendermi i miei tempi. Così è stato; il dolce di Cristiana e Barbara era buono.

giovedì 11 novembre 2010

6 NOVEMBRE

Mentre gli altri apparecchiano la tavola e preparano la cena, mi sovviene un dubbio. Più di un dubbio, certezza. Oggi è un anno che siamo in cameroun. Cosa ne abbiamo capito ? Poco e molto. Una tempesta di emozioni. Ti giri indietro e non sembra che un anno sia passato. Siamo arrivati timorosi di tutto. Fiduciosi, curiosi ma al tempo stesso "pulcini bagnati". Oggi possiamo dire che sembra di essere a casa. Abbiamo trovato un ritmo, il piacere di stare con questa gente, il lusso di nuovi amici straordinari. Non so trovare una cosa che mi piace più di tutte. Sono mille. Come le difficoltà, ma che cerchiamo di affrontare con coraggio. Ripartiresti ? Si! Perché ? Vieni a vedere, non te lo so spiegare. Ma nello zaino metti anche un sacco di pazienza e la voglia di conoscere un nuovo modo di vivere. Posso solo dire che siamo fortunati. Qui, ma soprattutto a casa. Nel nostro mondo abbiamo il tempo per divertirci, per stare insieme, per progettare. Nei villaggi della brusse c'è solo il tempo per trovare il cibo...e aspettare il domani. Ma c'è una dignità che noi non conosciamo. Questa è la grande differenza. Non l'assenza dei giornali, la mancanza del cinema, delle patatine fritte e del gelato.
Ed in più abbiamo la possibilità di alzare la testa. Qui no.
Ed abbiamo delle scuole che, malgrado tutto, ci insegnano a ragionare, a pensare, a capire. Ma abbiamo anche una natura rovinata. Qui una alluvione è attesa come la manna dal cielo, nella nostra terra fa solo disastri.
Saremo a casa il 29 dicembre. Tardi per il Natale, presto per Capodanno.

PAOLO


Oggi Paolo è partito per la capitale, fra un paio di giorni sarà in Italia. Il suo anno di servizio civile è finito. Alle sette abbiamo fatto colazione tutti insieme, come sempre. Poi siamo saliti in macchina, caricato le sue quattro pesanti valigie...e lo abbiamo accompagnato a prendere l'autobus. E' stato strano. Non è la prima volta che accompagnamo i visitatori al loro rientro, ma con Paolo è diverso. Paolo è della nostra famiglia. Mi dispiace un sacco che parta. Ieri sera eravamo tutti in camera sua a vedere come sarebbe riuscito a farci stare quel monte di roba che ha comprato nelle sue valigie, senza superare il peso previsto. E' stato bello ridere e scherzare ancora. E' stato bello fantasticare su un nostro nuovo incontro, quando anche Barbara ed Emanuele saranno rientrati in italia. Gli abbiamo preparato un video perché possa ricordarsi di noi, delle mille avventure fatte insieme. Guardarlo con lui mi ha fatto cappire che è passato già un anno, ma che è stato fittissimo e ricchissimo di belle cose. Mi sono emozionato. Ed oggi, quando l'ho salutato, non sono riuscito a trattenere le lacrime. C'è riuscito solo Emanuele, ma perché di carattere è così. Facendo retromarcia per andare via, nello specchietto ho visto il viso di Cristiana e di Barbara ed anche il loro era rigato di lacrime. Buona strada Paolo, buona fortuna.
A presto.

2 NOVEMBRE

Oggi sarei dovuto rientrare a lavoro, invece siamo ancora qui. Cos'è successo ? Nulla di grave, solo la voglia di veder finito il nostro lavoro, di veder realizzate un po' delle cose che abbiamo iniziato. Il cantiere è stato ufficialmente chiuso (saldando il debito con l'impresa) il 30 ottobre. Adesso mancano gli allestimenti interni ed il trasloco di alcuni locali. Sarà un lavoraccio perché il materiale è tanto. Ci muoviamo come mille formichine all'interno della nuova struttura. Nel frattempo alcuni dipendenti curiosi si affacciano a vedere i nuovi locali. L'inaugurazione ufficiale sarà per i primi di dicembre, ma la nuova ala sarà agibile credo a metà di novembre. Pochi giorni ancora, allora, di duro lavoro. In tutti c'è molta soddisfazione per quello che stiamo facendo. La stanchezza inizia a farsi sentire. Le piogge oramai sonoo terminate, se ne riparlerà ad aprile. Il caldo non ci abbandona, ci fa solo respirare meglio la notte. Ci sono giorni che vorrei scostare le tende e vedere il cielo nuvoloso, invece l'ombra degli alberi mi fa capire che anche oggi sarà fatica e sudore. Tanto sudore. Sono nell'ordine di tre magliette al giorno.
Anche Cristiana inizia a vedere i primi risultati. I suoi "allievi" si gestiscono oramai da soli le ecografie; ...e pensare che lei non ne sapeva nulla e che gli infermieri non avevano nemmeno mai visto un ecografo. In Africa succede anche questo. Fatica, impegno, sudore, sorrisi, tenacia...ed un piccolo traguardo è stato raggiunto.
Sono giorni che si rientra stanchi e la voglia di scrivere viene meno.

venerdì 15 ottobre 2010

KOUSSERI

Anche se Barbara non pesa granché, è meglio che salga per far fare un po' di presa alla gomma anteriore destra. A sinistra c'è solo acqua. Noi dietro proviamo a spingere. E' un pia illusione, ma non ci resta che provare. La macchina di traverso continua a patinare, poi si muove di qualche centimetro...anche con le ridotte non ce la si fà. Riproviamo ancora, dobbiamo riuscirci. Quasi alle lacrime (di disperazione, ma non per dover dormire qui, solo per essere stati ad un metro dal traguardo ed essere caduti dentro l'ultimo buco) tiriamo fuori le ultime energie. Continuiamo a spingere. Fa presa, dai che prende, daiiiii. Miracolo, eccola lì tutta sporca di fango fino all'ultimo bullone, ma eccola di nuovo sulla pista. Incredulità e felicità. Adesso può anche venire giù il diluvio. A 15 minuti c'è l'asfalto, a 30 minuti un letto, una doccia e qualcosa da mangiare. Siamo a Kousseri, paese al confine con il Ciad. Di là del ponte c'è la capitale 'Ndjamena. Siamo distrutti, ma contenti. Dormiamo in 6 in una sola stanza, io e Emanuele sul letto, gli altri in terra...nessuno si offriva per il letto...
Al risveglio la macchina è pulita; Alfons è in piedi dalle 5 e l'ha lavata. Facciamo colazione in strada e riprendiamo il viaggio verso casa, con molta molta tranquillità. Le 10 ore di piroga fanno sentire il loro peso. La musica ci accompagna, diversi dormono; io osservo il panorama. Per questa strada che porta al nord ci siamo passati oramai una decina di volte. L'ho vista in tutte le stagioni. Adesso è tutto bello verde, coltivato. Si vede che siamo nella stagione delle piogge. E' stato un bel giro, forse l'ultimo della nostra permanenza qui in Cameroun. Ed è per questo che è stato così avventuroso.

SULTANATO DI GOULFEY [4]

Il rientro in piroga è davvero pesante. La corrente del fiume non sembra forte, ma in effetti ci mettiamo il doppio di tempo a rientrare. La piroga arranca, il motore si inceppa di frequente perché pesca foglie e rami portati via dalla corrente. Alle nostre spalle si avvertono i primi lampi in cielo. Sta calando la sera ma soprattutto sta per venire un gran bel temporale. Adesso c'è solamente silenzio. Non lo voglio dire, ma credo che siamo tutti un po' preoccupati. Il tempo è cambiato repentinamente. Se piove, non solo è un problea perché siamo ancora in acqua, ma soprattutto non riusciremo a passare le pozze lungo la pista. Corri piroga, corri. Adesso i lampi sono tutti intorno. Il cielo è illuminato ovunque. Bello davvero, ma se fossimo in un'altra situazione. E' buio, alcuni paesani sulle sponde ci segnalano con la torcia i punti dai quali stare distanti. Voglio pensare che tutti si stiano prendendo cura di noi. Quando arriviamo a terra tiriamo un mezzo sospiro di sollievo. Adesso dobbiamo spicciarci, riportare in caserma Cip e Ciop ed affrontare la pista. Su questo siamo tutti d'accordo. Anche se è buio, anche se sta per venire giù un uragano.

Cip e Ciop, che si erano dichiarati cristiani e che avevano detto di non voler nulla, ci chiedono 20.000 fcfa a testa. Persino Alfons si arrabbia. La trattativa deve essere veloce, non possiamo tardare. Molliamo loro una "mancia" complessiva di 20.000. Ci salutano con il sorriso a 36 denti e con questa bellissima frase finale, che suona come una beffa finale: "Que Dieu vous guide,... nous sommes là" (ovvero, "che Dio vi guidi...noi siamo qui"). In due giorni abbiamo fatto la fortuna del sultanato di Goulfey e di tutta la sua gente. Giriamo la macchina e partiao veloci. La pista effettivamente è molto più asciutta e percorribile. In un paio di punti scendiamo, per alleggerire il pickup, e Alfons passa agile sul fango. I lampi in cielo continuano a rischiarare l'orizzonte. Fulmini da cielo a terra mai visti. Ma sono distanti perché non si sente alcun tuono. Eppure fan paura. L'ultimo banco di fango sembra semplice, Alfons lo affronta con sicurezza, ne siamo quasi fuori, quando ci ritroviamo con due ruote per aria e due dentro un fosso. Prova ad accelerare ma ci impantaniamo sempre di più. Scendiamo con la morte nel cuore, da qui non se ne esce; intorno non c'è anima viva. Che fare ?

L'ISOLA DI KOFIA

I visti ci servono per entrare in Ciad, visto che a metà del fiume entreremo in territorio straniero. Abbiamo ancora diverse ore di piroga, il sole scotta, ma l'idea di farcela ci motiva e ci sostiene. Non abbiamo nemmeno pranzato. Quando la piroga rallenta capiamo che siamo vicino al confine. Dobbiamo accostare e farci riconoscere...ma sono le 13.20 ed è ora della preghiera dei musulmani. Ci fanno cenno di proseguire, senza alcun controllo. Il fiume si apre, siamo oramai alla foce verso il lago. Il panorama è da mozzafiato. Acqua tutto intorno, è maestoso. Il paragone è irriverente ma sembra un po' come alcuni tratti della laguna veneta (quelli vergini ed incontaminati). I confini non si vedono, siamo dentro il lago. La piroga procede diritta verso l'isola di Kofia. Con noi, in piroga, c'è un professore di francese; è un infiltrato, scrocca il passaggio e non paga. Appena scendiamo a terra il solito accorrere di bambini. Qui fa veramente caldo. La velocità della piroga ci aveva illuso. Il professore ci affida ad un bimbo della sua classe, quello che a suo dire "bricole" (arrangia) un po' meglio il francese. Siamo messi bene...Vorremmo mangiare e bere ma ci dicono che poche settimane fa sono morte diverse persone per colera, qui sull'isola. Breve giro, rifornimento di carburante e via. Il ritorno sarà più lungo, saremo controcorrente. Alle quattro siamo di nuovo a Bangloua, dove recuperiamo Cip e Ciop e la loro piroga. Dobbiamo affrettarci o ci toccherà dormire una volta ancora al sultanato, ma nessuno ne ha voglia. L'idea è di recuperare velocemente armi e bagagli e rientrare verso la strada asfaltata. Quindi dobbiamo anche passare i punti critici pieni di fango. E nella notte non è il caso.
Il sole di questi due giorni dovrebbe aver asciugato molto le pozze, ma non si sa mai.

LAGO CIAD

La notte è stata breve, il sonno non c'è stato. Il giaciglio era piuttosto arrangiato, io ho combattuto la mia battaglia personale con gli scarafaggi, Anna con le zanzare, Alfons ad un certo punto è uscito...come il pipistrello che ronzava sulle nostre teste. Quando suona la sveglia in realtà siamo già tutti svegli, ed è una liberazione. Sarà una giornata dura, speriamo ne valga la pena.
 
Passiamo a prendere il motore della piroga, i due gendarmi (Cip e Ciop), il piroghiere (quello che guida la piroga)...e cominciamo la nostra discesa lungo il fiume che ancora il sole sta sorgendo. La brutta notizia è che la piroga non può andare oltre Bangloua, per cui se vogliamo raggiungere il lago ciad dobbiamo arrangiare l'ennesima soluzione. La bella notizia è che ci sarà bel tempo...ed è per questo che indosso una camicia a maniche lunghe. Sennò sai come torno... un gambero è meno rosso. Voliamo sull'acqua. E' bellissimo. E' bellissimo questo posto, è bellissimo essere con questi amici, è bellissimo essere qui. E' bellissimo cominciare questa nuova piccola avventura. La natura è qualcosa di sensazionale. Il silenzio, le risate, i nostri due angeli custodi armati, ...il motore che si ferma, ma è solo perché la benzina è finita. Non deve succedere più, il serbatoio va rabboccato prima che sia a secco. Se ne occuperà Alfons. Il rischio è di non riuscire a ripartire. Lungo il fiume incontriamo un sacco di pescatori, la gente dei villaggi che ci saluta da lontano, gli aironi, mille colori. Dopo tre ore siamo al "confine". Dobbiamo abbandonare la piroga del sultano. Approdiamo e cerchiamo un provvidenziale contatto, mentre Cip e Ciop assicurano le armi in caserma. Qui parlano un dialetto ciadiano. La moneta è quella nigeriana; anche qui i curiosi si precipitano al vedere dei bianchi.

Anna tira fuori dal cappello il numero di telefono di un missionario spagnolo, al quale possiamo chiedere un aiutino. Lui sembra disponbile, e per accelerare le cose andiamo alla sua missione. Oramai è già mezzogiorno. É di poche parole, Padre Cisco. Ci offre da bere, ci suggerisce il prezzo oltre il quale non andare e ci lascia parlare con un altro piroghiere. Dopo un iniziale rifiuto (a questo punto il lago ciad sembra davvero un miraggio), nel segreto di una stanza Padre cisco riesce a convincere la nostra guida. Corsa in città per i visti, contrattazione per la benzina e...via.

giovedì 14 ottobre 2010

SULTANATO DI GOULFEY [3]

Seguiti da uno stuolo di ragazzini, eccoci alla porta di ingresso della casa del sultano. Lui non c'è, è fuori per affari. E quindi non possiamo entrare nella sua casa, ma possiamo ugualmente entrare dentro le mura e visitare il perimetro interno. I ragazzini restano fuori. Dentro c'è un gran silenzio. A dire il vero non c'è molto da vedere, ma la sensazione è comunque di maestosità e di pace. Tutta la costruzione è in terra e fango. Ogni anno la popolazione è chiamata a restaurare eventuali parti dell'edificio che dovessero cedere. La pomposità con la quale la nostra guida ci illustra le meraviglie del sultanato è davvero formidabile e ci ricorda quanto ingessati siano i "protocolli" camerunesi. Comunque è un bel tuffo nel passato. Resto meravigliato dalla perfezione di alcune costruzioni, anche il rapporto agli scarsi strumenti a disposizione di questa gente. Per un attimo ripenso alle maestose piramidi e al numero di vite umane che sono costate per la loro erezione.
Usciamo dalla casa del sultano e il paese è quasi tutto lì. In fretta e furia ci hanno organizzato anche un giro per il museo storico locale. La tanta strada fatta per venir fin qui e la curiosità ci spingono a visitarlo. Altra cerimonia. Arriva il direttore del museo, con tanto di abito tirato a lucido, il valletto con la bandiera del sultanato ed un pannello pieno di foto di com'era il museo tanti anni fa. E' un po' l'archivio storico per immagini. A noi ci viene un po' da ridere, ma per loro questo pannello è tutta la loro storia.

Il museo è costuituito da tante piccole sale edificate in mattoni di terra e tetto in paglia. E' pieno di cimeli di ciascun sultano, vestiti storici in cotone, patti e vasi, ceste e otri, lance e scudi...più un cranio di elefante e uno di rinoceronte. Tre esempi differenti di costruzioni che si sono susseguite nei secoli, ed una torre completamente in terra alla sommita della quale, si dice, il sultano mettesse i suoi figli quando egli partiva lontano da casa. In questo modo i figli erano al sicuro, in quanto irraggiungibili. E per mangiare ?
Usciamo dal museo e qui ci chiedono di pagare il biglietto. La cifra che ci propongono e tipica da furto nei confronti di uno straniero. Per noi tratta Alfons, ma in ogni caso il prezzo non si abbassa di molto. Solo mostrando il nostro permesso di soggiorno, dove risultiamo volontari di una ONG, il biglietto viene dimezzato. Condito da mille ringraziamenti, perché siamo venuti qui ad aiutare il popolo camerunese.
Nel frattempo, per fortuna, qualcuno ci ha trovato un alloggio per la notte. E' una casa privata composta da una unica grossa stanza con tappeti a terra; il bagno è nel cortile. Troviamo anche qui un accordo. Chissà se il propietario, fuori paese per impegni, riceverà mai un franco di quel che abbiamo pagato.

Oramai è notte. Noi tre uomini andiamo verso la fontana di fine paese a lavarci. La luna piena permette ai curiosi di osservarci nella nostra pulizia; i bambini invece si arrampicano lungo il muro della casa in cerca di sbirciare qualcosa (lì ci sono le nostre tre donne intente anche loro a rinfrescarsi).
La sveglia è per le 4.30; partenza in piroga alle 5.00 lungo il fiume Logone.

SULTANATO DI GOULFEY [2]

Lasciamo la strada asfaltata per l'ultimo pezzo di viaggio che ci porterà a Goulfey. Siamo in orario, ma abbiamo ancora un'oretta di pista. Sembra buona, ...sguisccccc...siamo bloccati; siamo in mezzo al fango. Le gomme non hanno molte tacche e non fanno presa sulla mota. Abbiamo lasciato l'asfalto da solo un quarto d'ora. Presto per fermarsi. Che sia il caso di rivedere i nostri piani ? Strano, ci avevano assicurato che la strada era fattibile. Forse non avevano visto le nostre gomme usate....Scendiamo dal pickup per capire come venirne fuori. Sul cassone abbiamo una corda ed una zappetta. Emanuele sembra il meno preoccupato, quando va in brousse gli capita spesso di impantanarsi. Allora tutti accorrono e gli danno una mano a venir fuori.
Anche qui succede così, ma vogliono esser pagati. Si tratta ed alla fine ne siamo fuori. Cambio alla guida; a condurre sarà Alfons, il più esperto su questo terreno. Ed in effetti saltiamo alla grande il successivo banco di fango. Ci fermiamo pure ad aiutare un furgoncino stracarico di gente. Quandi ci sembra che il fango sia troppo, scendiamo dal pickup e guardiamo con il fiato sospeso Alfons che a tutta passa le pozze. I punti critici segnalatici sono quattro, e li abbiamo passati tutti. La macchina ha retto, è un po' sporca (è decisamente sporca), ...ma eccoci al sultanato.
Sono tutti musulmani; lo si capisce dalle ondate di fedeli che sono stesi a terra rivolti alla Mecca, in preghiera. Non avvertiamo alcuna sensazione di pericolo.
Sono le 13.00, è già ora di trovare un posto per dormire ed organizzare il giro al lago per domani. Qui non è facile gestire cose anche così semplici. La casa che il sultano aveva destinato agli ospiti visitatori è occupata da un gruppo di famiglie, che non ce la cederanno. Ristorantini (quelli di qui) non ce ne sono. Anche chiedere informazioni non risulta facile; pochi parlano il francese, ed il dialetto che parla Alfons non è nemmeno lontanamente compatibile con quello loro.
Mangiamo in strada, sotto una copertura fatta di paglia. Per la trasferta in lago Ciad troviamo la disponibilità del comandante dell'esercito (un avanposto fatto da tre persone) a prestarci la loro piroga a motore; la benzina è a nostro carico, lui ci affiderà a due suoi gendarmi. Da un rivenditore locale contrattiamo l'acquisto di 80 litri di benzina. Si è sparsa la voce che siamo in "città", adesso tutti si propongono di aiutarci......

SULTANATO DI GOULFEY [1]

A Emanuele piace guardare la cartina del Cameroun affissa dietro la porta di camera. Ogni tanto propone un giro, studia la strada, si documenta...dev'essere bello pensare ad un viaggio con lui.

La proposta di questo lungo week-end, che inizia giovedì sera, è raggiungere il lago Ciad. La meta è distante, ma si può fare. Siamo in sei, noi quattro più Alfons ed Anna. Ma viene ancora da sorridere quando noi 5 bianchi giriamo tranquilli per il Cameroun e prendono Alfons per la nostra guida (se va bene) o per il nostro autista. No, è il ragazzo di Anna. Semplicemente. Evidentemente nella testa dei camerunesi (gli altri) c'è sempre questa idea di dominio dell'uomo bianco.

Prima che faccia buio siamo a Maroua, tappa di avvicinamento. Dormiamo dai Padri Oblati, con 7 euro a coppia. La partenza l'indomani mattina è per le 6.00...e siamo tutti puntualissimi. Passiamo il parco di Waza, bellissimo, verdissimo...qualche scimmia e qualche giraffa in lontananza. Purtroppo nessun elefante. Credo resteremo gli unici a non averli ancora visti. La strada è buona, nonostante le pioggie. Suvvia, qualche camion a terra c'è sempre, ma credo dipenda dal ...sovraccarico.

In macchina si sta un po' stretti ma viaggiamo veloci verso il sultanato di Goulfey. Non so proprio che aspetto possa avere un sultanato. I pochi ai quali abbiamo detto che andavamo lì ci guardavano meravigliati che volessimo visitare il sultanato.

Mentre viaggiamo ascoltiamo musica, che Alfons non sempre apprezza. C'è un po' di tutto: Rino Gaetano, Battisti, De Gregori, Fiorella Mannoia...ma mentre sono al volante una canzone mi colpisce più di tutte.







Metti in circolo il tuo amore (Ligabue)
Hai cercato di capire ma non hai capito ancora
se di capire si finisce mai
hai provato a far capire con tutta la tua voce
anche solo un pezzo di quello che sei
con la rabbia ci si nasce o ci si diventa
e tu che sei un esperto non lo sai
perche' quello che ti spacca e ti fa fuori dentro
forse parte proprio da chi sei
metti in circolo il tuo amore
come quando dici perche' no
metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti non lo so
come quando dici perche' no
quante vite non capisci e quindi non sopporti
perche' ti sembra non capiscan te
quanti generi di pesci e che correnti forti
perche' 'sto mare sia come vuoi te
metti in circolo il tuo amore
come fai con una novita'
metti in circolo il tuo amore
come quando dici si vedra'
come fai con una novita'
e ti sei opposto all'onda ed e' lì che hai capito
che piu' ti opponi e piu' ti tira giu'
e ti senti ad una festa per cui non hai l'invito
per cui gli inviti adesso falli tu
metti in circolo il tuo amore
come quando dici perche' no
metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti non lo so
come quando dici perche' no

CAM[3]

...storia di un uovo...

In realtà l'uovo non è solo, ha ben 29 compagni. Lungo viaggio dall'italia in cameroun, dentro una pentola a pressione, ficcata dentro una valigia. Pazzia di un volontario, voglia di sapori di casa. Succede però che la pentola – non si sa come – si apre, le uova erano fresche e non sode, ...la valigia adesso puzza un po'. Ne sono rimaste sane solo 7. Mah...

CAM [2]

...storia di un sequestro di bambini...

Cosa c'è di bello nel nostro ospedale ? Che chiunque può venirci (musulmani, cristiani e non credenti) ed essere curato anche se non ha tutti i soldi per le cure mediche. Capita però che ci siano i soliti profittatori, e così qualcuno scappa senza pagare, pur avendo i soldi per farlo. Stava per succedere anche ieri, ma Marie Therese (la caposala della maternità) si è tenuta in ostaggio tre bambini appena nati e rispedito i padri a cercare il denaro per pagare il parto delle rispettive mogli. Ed ha tenuto duro, anche quando i bimbi affamati hanno iniziato a piangere e strillare. Allora ha richiamato le madri, ha atteso che allattassero i piccoli...e richiuso la porta. In tarda serata tutti i tre padri sono arrivati con i soldi, liberando i propri figli. Capita purtroppo di dover essere così duri, ma se non fosse così chiuderemmo l'ospedale in un paio di mesi.

CAMEROUN – CONGO: 0-2

Sabato 9 ottobre 2010, match di Coppa d'Africa tra Cameroun e Repubblica Democratica del Congo. Sono giorni che la città è in fibrillazione. Il match si gioca alle 15.00 allo stadio di Roumde Adja, dove già ero stato con Emanuele. Lo stadio è pieno zeppo, il "colpo d'occhio" è davvero bello. Arriviamo alle 13, con poco anticipo, ma sufficiente per permetterci comunque di prendere dei buoni posti. Anche se intorno al campo di calcio c'è la pista di atletica, i giocatori si vedono benissimo. Fortuna che il tempo è un po' coperto, altrimenti sai che arrostita...Quando entrano i Leoni, in testa Eto'o, lo stadio si infiamma. Fino a quel momento nessun coro, nessuno sfotto' (di congolesi in effetti non si vede traccia), solo chiacchere e un po' di corse per trovare dell'acqua. In realtà non sembra davvero un match internazionale. Noi "bianchi" siamo una decina, a tifare Cameroun, ovviamente. Per animare un po' lo stadio, proviamo (io insieme a Barbara, l'unica che mi dia sostegno in questo) a lanciare una hola. Proviamo e riproviamo, ma evidentemente qui non sanno cos'è. La gradinata alla mia destra, e subito dopo la tribuna d'onore, non colgono il messaggio. E la nostra onda si affloscia dopo pochi metri. Peccato.
Inizia l'incontro, per la prima mezz'ora tutte e due le squadre trotterellano. Quando il pallone lo tocca Eto'o, tutti gridano e si esaltano. Ma in realtà non fa granché. Nemmeno fosse Maradona...Quando non te l'aspetti, ecco il gol del Congo, alla prima azione utile. Lo segna il numero 12, lo segna ed esulta, e lo stadio è di ghiaccio. Nessuna rabbia, qui sono tutti convinti che il Cameroun ribalterà il risultato. E' solo questione di tempo. Già, ma intanto un tempo se n'è andato....Non c'è reazione, non c'è gioco, non c'è nemmeno orgoglio. I Leoni sembrano dei gattini bagnati. Già, perché poi si è messo a piovere, solo 10 minuti, ma ha reso il campo scivoloso. Fortuna che ha anche un po' rinfrescato. Si riparte, sempre al trotto. Qualche azione un po' più intensa fino a che...succede il miracolo. Il Congo fa autogol: 1 a 1. Lo stadio è tutto in piedi (perché poi, se anche questa volta hai avuto bisogno dell'aiutino ?), i giocatori incitano il pubblico. Per i successivi 10 minuti il ritmo è indiavolato, ma senza uno schema di attacco. Tutti vogliono fare il bel tocco, tutti cercano l'applauso...nessuno pensa al gioco di squadra ed al risultato. Tipico. Non c'è da stupirsi. Ad ogni piccola spinta o intervento un po' "deciso", ecco che si levano insulti verso l'arbitro, accusato di essere dalla parte dei congolesi.
In realtà è stata un po' una delusione. La partita, intendo. Noi ci siamo divertiti in ogni caso. Mi dispiace solo che anche per una semplice partita il ritornello sia sempre quello di giustificare i propri fratelli, inveire contro la sfortuna, il campo, ...Non ci siamo, piccoli gattini. Non ci siamo.

E' finita 1 a 1, ma i gol sono tutti del Congo.

L'indomani molti chiedono della partita, tanti dicono di avermi visto in tv, inquadrato dalla telecamera mentre cercavo di far fare la hola allo stadio.

CAM [1]

...storia di una capretta che ha sfidato la pazienza di Bernard...
Succede un pomeriggio come tanti altri. Suonano alla porta, nessuno si precipita...alla fine vado io e mi trovo di fronte Bernard. Sudato, dentro ai suoi stivali di gomma (?!), forse un po' bevuto, zappetta in mano, testa bassa. Arruffa un discorso che mi sembra di non aver capito bene; non per il suo francese stentato, ma perché è strano, perché è maledettamente assurdo.
Bernard è uno dei guardiani della casa, è anche uno degli addetti della pepiniere (orto)...oltre che il "moroso" di Emanuele. E' una persona buona, credo 9 figli, i denti un po' consumati,...ma uno a posto.
Suona. A testa bassa mi chiede se c'è Emanuele. "Sta dormendo, dì pure a me". "No, è successa una cosa gravissima, ho ucciso una capretta in pepiniere." "Come ucciso la capretta – dico io -, ma da quando avevamo anche una capretta (aggiungo al mio pensiero)..."
Non so se ridere o stare serio. Busso alla porta di Emanuele, ma dorme per davvero. Chiamo Cristiana ed andiamo a vedere. Nel trambusto si svegliano anche Barbara ed Emanuele e allora si va tutti insieme.
E la capretta in effetti è lì, a terra. Morta. In realtà qualcuno era già entrato in giardino e stava cercando di portarla via ma al nostro arrivare si è dileguato. La povera capretta stava semplicemente mangiando le foglie di mouringa (una pianta della pepiniere con la quale si fa una sorta di polvere altamente energetica e ricca di vitamine); dapprima Bernard le è corso dietro, poi le ha tirato qualche sasso. Infine, come degna conclusione tragica di un gioco nato male, le ha tirato dietro un legno...che le è finito giusto in testa. E la capretta è riversa a terra.

p.s. Non si sa di chi sia, la capretta non è nostra.

COSE DALL'ALTRO MONDO

Mi va di iniziare una nuova piccola rubrica, come quelle che trovi in diversi giornali e che di danno notizie flash da ogni parte del mondo....solo che queste arrivano tutte dal Cameroun, sono molto personali, non sono per nulla imparziali,...e l'idea è di lasciare un "segno". Si chiamerà CAM, ovvero Cose dall'Altro Mondo, ma potrebbe benissimo essere Cose dell'Altro Mondo. Ma così si potrebbe pensare che quel che succede a casa nostra è normale, mentre qui no. In ogni caso, sarà CAM. Cioè CAMEROUN.

venerdì 10 settembre 2010

MULTA

Ho preso una multa. Forse. Ancora non so. Devo presentarmi lunedì in comune per farmi spiegare bene l'infrazione. In ogni caso non è per eccesso di velocità (qui non hanno l'autovelox ma soprattutto non hanno le auto per correrti dietro) né per mancanza di cinture...ho parcheggiato i container in divieto di sosta. Si, proprio così. Oggi sono venuti due agenti (in due su una motoretta scassata e senza casco, e pure in ciabatte) in cantiere ed hanno iniziato a far domande sui nostri container piazzati fuori dal cancello. E' vero che sono in strada, ma è anche vero che qui non c'è una strada. Almeno non come siamo abituati noi. L'infrazione propriamente elevata è per occupazione del suolo pubblico senza autorizzazione. Termini che farebbero paura, ma che nel contesto di qui fanno un po' sorridere. Che sia un modo per chiedere un po' di soldi ? Vedremo come andrà a finire. Potrebbe anche essere un modo per finanziare la prossima campagna elettorale del presidente, che si ripresenta dopo 27 anni di governo, e che come ogni anno vincerà le elezioni.

'A BBELLOOOOOOO!

Qui succede anche questo. Ieri sera (tardo pomeriggio) stavamo uscendo di casa per andare a fare ginnastica in città (per mantenerci in forma e per rilassarci) quando ci capita l'imprevisto. Mentre ci stavamo dirigendo alla macchina, scorgiamo tre baldi giovani intenti a farsi delle foto, forse per un casting. Uno ci chiede se possiamo attendere un attimo prima di passare, l'altro è il fotografo intento a "impressionare" il terzo, che bellamente se ne sta appoggiato alla nostra macchina, occhiali da sole e posa da fighetto. Forse una foto ricordo per far colpo su una ragazza...chissà. Poi scappano di corsa, e da quel momento non se ne sa più nulla.

SCIOPERO

Lo sciopero che non ti aspetti...perché qui hanno lavorato anche il giorno di festa (cioè il 16 agosto, festa comandata dal Presidente della repubblica del Cameroun). Tutto ha inizio la sera prima, quando l'impresario viene a chiedere i soldi per pagare gli operai. Soldi che non gli spettano, perché gli sono stati già dati. Allora monta una sceneggiata e straparla. Convoca gli operai nel suo ufficio in città...e il giorno dopo in effetti il cantiere è fermo. L'ordine è di non presentarsi perché l'uomo bianco non ha pagato. In effetti le cose non stanno proprio così. La mattina che il cantiere è silenzioso, io e Benjamin siamo stati all'ispettorato del lavoro. La vera verità è che il suo nome sono stufi di sentirlo. Ha mille cause aperte con il personale, per mancati pagamenti. Fa anche un'altra simpatica cosa: si fa dare gli ultimi soldi per terminare i lavori e poi non finisce il cantiere. Ma ogni volta che finiamo in discussione, lui dice che lavora per la chiesa, che lui è un fedele cristiano. Sarà, ma a me non mi convince. La sera dello sciopero è passato tutto chieto, sorridente e tranquillo a chiedere i suoi soldi. "E perchè oggi non ha lavorato nessuno ?" Mi ha risposto che gli operai devono mandare i figli a scuola, hanno bisogno dei soldi..."E perché non glieli dai i soldi, visto che te li ho dati ?" La discussione continua per un'altra ora ma questa volta più serena. Si capisce che ne ha bisogno, dei soldi. Forse i suoi operai, una volta tanto, gli hanno fatto capire di essere un po' più onesto (anche perché io con gli operai nei giorni prima ci avevo parlato; avevo annusato la trappola e avevo detto loro come stanno realmente le cose: i soldi ci sono, i soldi li ha. Fateveli dare !). Forse loro sono meno attaccati ai soldi di lui, che li paga una pipa di tabacco e li riempie di parole.
Il cantiere è ripreso. Nulla sembra essere successo. Nessuno ha un commento da fare. Con me sono sereni. Mi vedono sudare con loro, spostare carriole di sabbia e di cemento, alzare sacchi e piastrelle. Perché non dovrebbe essere altrimenti ? Com'era? "...siamo dello stesso sangue tu ed io, fratellino..."

SALOMON

...e poi c'è Salomon. Arrivato da poco, è la punta di diamante dell'impresario. Il piastrellista per eccellenza. Cosa raccontarvi di lui ? C'ha un bernoccolo (che forse è anche una ciste o qualcos'altro) in piena fronte da due anni ma preferisce non farselo togliere. Quando Benjamin gli ha chiesto come gli è venuto, lui ha risposto che è successo a seguito di un grosso pensiero che aveva per la testa. Mah...

E' un tipo alto, forse un po' troppo alto per il lavoro di piastrellista che ti porta ad essere sempre "incucciato". Quando arriva con la sua moto fatta di mille pezzi appiccicati non so come, subito si cambia. Infila un paio di pantaloni lunghi blu, poi sopra ci mette un paio di pantaloncini corti con tasche piene zeppe di...boh? Ciondola lungo il corridoio, con le sue scarpine tutte plastica che ricordano quelle di noi bambini quando andavamo sugli scogli, al mare. Ci mette circa tre ore per preparare il "massetto" della stanza, poi segna una riga centrale, quindi attacca a posare le piastrelle. Nel suo lavoro è abbastanza veloce, ma occorre controllarlo sempre. Oramai ho capito che non si accorge che picchiattando le piastrelle con il martello in gomma, alla fine ce ne sono almeno due per stanza che sono rotte. Le fughe non sempre gli riescono dritte, quindi poi bisogna fargliele sistemare. Ma tutto sommato non lavora male, magari sono io che sono pignolo.

Ah, mi sono dimenticato: è strabico.

JEAN PAUL

Anche se il cantiere "apre" alle 7.30, dalla finestra della cucina mentre sorseggio il mio caffè osservo che un operaio è già fuori del cancello alle 7.00. E' l'unico, gli altri arrivano alla chetichella verso le 7.30. Si chiama Jean Paul. E' un omino mingherlino, dal viso segnato, ma ha proprio l'aria di una persona seria. Vedendolo lì sempre puntuale, alle volte addirittura in anticipo, mi sono chiesto cosa lo spinge ad essere "diverso" dagli altri. Una mattina siamo entrati in discussione e così ho scoperto che è un fervente cristiano. Mi sembrava di averlo già visto...adesso so anche dove. La domenica, quando c'è la messa, come da noi c'è l'usanza di arrivare in ritardo, a funzione iniziata. Ma diversamente da noi, qui ci sono i "guardiani del sepolcro". Sono il servizio d'ordine della chiesa e della parrocchia. Se a loro dire non è il momento di entrare, ti si parano davanti e tu non passi. Hanno la loro divisa, che non è altro che una fascia verde messa di traverso, tipo miss italia. E lui, Jean Paul, è un guardiano. Mi raccontava, dicendolo con fare molto fiero, di quando, girando tra i banchi, aveva cacciato una donna - a suo dire – vestita un po' troppo scollata. O di quando aveva mandato fuori un bambino perché piangeva durante messa. Ma ve lo immaginate da noi ?
Comunque lavora bene e tanto. Perché è come una missione.
L'altro giorno doveva salire sul tetto per chiudere tutta una serie di buchi dai quali entra acqua. Allora mi viene vicino e mi chiede se posso comprargli un paio di occhiali da sole (qui il tetto è in lastre di alluminio). Vederlo là sopra con occhiali scuri, caschetto giallo e guanti in cuoio bianchi perchè le lastre scottano era uno spasso. Sembrava un marziano...
Lui il caschetto ce l'ha (l'unico, peraltro) perché tra le tante cose ha fatto un corso sulla sicurezza in cantiere. Insomma, un po' "Mister" in versione africana...

L'IMPRESARIO

Con l'impresario abbiamo già avuto molto da discutere anche nei mesi passati. A me non piace; non mi piace il suo modo di fare, il suo modo di chiedere continuamente soldi per dei lavori certo non eseguiti al meglio, la sua sfacciataggine nell'aumentare i prezzi previsti dal contratto...ma d'altronde ha il coltello dalla parte del manico. Il cantiere doveva essere già terminato lo scorso anno, quindi in realtà siamo noi gli inadempienti.
In ogni caso si rivolge agli operai in maniera molto dura e soprattutto non li paga nei termini previsti. Già lo scorso anno erano entrati in rivolta bussando alla casa (allora c'era ancora la coppia di volontari precedente) per chiedere il salario. Chicco aveva dovuto calmarli e parlare di persona con l'impresario per convincerlo a rispettare le scadenza di pagamento.
Nel giorno di inizio cantiere lui si presenta verso sera. Una delle prima cose che mi dice, di fronte agli operai, è che mi devo cercare un magazziniere, cioè uno che consegni ogni giorno il materiale per eseguire i lavori quotidiani (non un pacco di piastrelle in più, non un sacco di cemento in più) e che faccia le verifiche che non ci siano furti. Lui stesso non si fida dei suoi operai. Questo lo trovo strano e stramaledettamente brutto da dire di fronte agli operai, che non ribattono nulla ("vittime" del loro padrone). In ogni caso decido che il magazziniere lo farò io. Tant'è, sono lì tutto il giorno a controllare che i lavori vengano ben eseguiti quindi...


10 agosto 2010

Eureka ! Evviva ! Ci siamo...oggi è il grande giorno. Almeno per me, lo è. Da ieri sto pensando come sarà questa nuova avventura, questa nuova prova. Se sarò capace di portarla a termine, se riuscirò a gestire tutti gli inconvenienti che sicuramente ci saranno, se sarò in grado di farmi capire... Oggi riparte per davvero il cantiere. Non che fino ad oggi non si sia fatto nulla, ...ma da oggi riprendono ufficialmente i lavori di ultimazione dell'ospedale. Fino a ieri abbiamo gestito l'arrivo dei container, lo scarico e lo smistamento del materiale, l'installazione dell'impianto idraulico e di quello elettrico, la posa delle porte e delle finestre in alluminio. Una grossa mano l'hanno data i volontari del Cumse venuti dall'italia. Ma da oggi la musica cambia. Da oggi ci sono solo loro: gli operai camerunesi, io e Benjamin. Da oggi ci sono solo braccia e mani, sudore e fatica. Perché in qualche modo è diverso. Prima i pochi operai camerunesi che davano una mano erano per lo più solo dei collaboratori; eseguivano il lavoro assegnato ma era pura e semplice manovalanza. Da oggi invece i protagonisti sono loro. Io girerò per il cantiere a fare dei sopralluoghi, a fare delle verifiche, a vedere che il materiale venga utilizzato al meglio, a parlare con l'impresario, ...sembrerebbe un lavoro d'ufficio. Ma non credo sarà così.

Alle 7.00 sono già lì; niente caschetto, niente scarpe anti infortunistica. Solo la mia cartellina con dentro le planimetrie, un righello, una matita e due penne...ed il mitico "quadernino". Qui c'è tutto il mio "studio". Per io che di cantieri non so nulla, i giorni passati sono stati giorni trascorsi a rimisurare le stanze, fare il calcolo del consumo di piastrelle per vedere se ne abbiamo a sufficienza, controllare gli stock di materiale (pittura, cemento, colla, ...). Devo dire che la vita di cantiere, appuntata su un foglio di carta, sembra semplice.
Alle 7.30 iniziano ad arrivare i primi operai. Non conosco nessuno di loro personalmente anche se un paio mi sembra di averli già visti in quartiere. Benjamin invece li conosce quasi tutti.
Il capo cantiere è uno dei primi a presentarsi. Si chiama Albert. La cosa fa ben sperare (!). Mi guarda e mi chiede se possiamo iniziare. Devo dire che mi coglie di sorpresa, forse dovevo pensare ad una cerimonia di inizio lavori ? Non so come si usa qui in camerun. Guardo Benjamin ma anche lui mi sembra smarrito.

Bene, allora. Mi presento, stringo la mano a tutti ed iniziamo a concordare le regole: si inizia alle 7.30 e si termina alle 16.30. Per ora è tutto qui. Buon lavoro.

domenica 15 agosto 2010

VOLARE OLTRE IL MURO

Sabato di canti e di danze; un modo per respirare per un giorno un po' di libertà. Dietro le mura del carcere.
Le immagini sono per lo più "rubate"; insomma, prese di nascosto all'insaputa della vigilanza. La giornata l'ha preparata Paolo. Tre corali (gruppi di ragazzi tutti carcerati) che eseguono canzoni (di chiesa), accompagnati da una band improvvisata, con un strumenti musicali un po' distorti, arrangiati alla bell'e meglio sopra delle panchine, con un cavo a terra in mezzo ad una pozzanghera...ma con tanta voglia di "evadere".
Ogni corale ha la sua divisa. Visti così non sembrano dei malviventi. Infatti per lo più non lo sono. Alcuni ragazzini sono dentro per furti minori, per esempio per aver rubato una bicicletta. Uno è dentro perché si è presentato il giorno dell'esame al posto del fratello (ha 16 anni). Qualcuno ha rubato dei montoni. Un altro è dentro per immigrazione clandestina; è entrato dalla Nigeria per vendere una moto ma si è imbattuto in un poliziotto che gli ha sequestrato la moto (perché il ragazzino non ha voluto pagare una tangente) e poi denunciato. Le pene sono sempre severe ed esemplari. Non c'è alcun sistema di equità o attenuante per i minori. Ma poi c'è anche chi si è venduto le stoffe che noi avevamo donato per farsi le divise. Vabbé...

Quelli incatenati invece sono quelli che hanno tentato la fuga. Sono vivi per miracolo, dopo essere stati picchiati a sangue dalle guardie. Adesso girano per il carcere con il loro bel fardello di catene, a memoria del loro gesto.
 
 
 
 
 

IL GRANDE RIENTRO

Eccomi all'aereoporto internazionale di Garoua. Aspetto con trepidazione l'arrivo dell'aereo che dovrebbe riunirci a quei due furbacchioni di Barbara ed Emanuele. Suona il telefonino; è Paolo che sta arrivando anche lui ad accoglierli. Quando il rombo del motore si smorza, capisco che mancano solo pochi istanti. Guardiamo da dietro il vetro. I primi bianchi che scendono sono troppo bassi per essere loro. Ma quelli dietro invece....sono proprio i nostri amici. Belli, solari, rilassati, abbronzati...ingrassati! Ma una gran gioia nel poterli riabbracciare. Sicuramente nelle valigie ci sono tante cose buone da mangiare e da condividere, ma la cosa più bella resta il poterli riavere tra noi. Si torna a casa. E' strana e magica la sintonia che subito riaffiora. Pochi istanti davvero e siamo già di nuovo una "famiglia". Sembra che questo mese e mezzo di separazione non abbia assolutamente accuito le distanze, anzi. Ci saranno un sacco di cose da raccontare, di foto da vedere, di avventure da condividere. Bello. Bentornati.