venerdì 29 gennaio 2010

CONTRABBANDIERI

Un viaggio di 980 km, verso nord. Siamo partiti all'improvviso, alle 11.00 di un sabato mattina. Il nostro carico di medicinali, donatici da un ospedale messo in piedi da un prete italiano in Ciad, non passava la frontiera. Le scorte del laboratorio erano finite, il container con il nuovo approvvigionamento tarda ad arrivare...e così abbiamo chiesto agli ospedali "vicini" (cioè amici) se potevano darci una mano. Anche questa è cooperazione, in fondo. Ed i buoni rapporti valgono, anche qui, molto più di mille parole e mille promesse. Così, quando a chiedere aiuto è stato il nostro piccolo ospedale, in Ciad si sono ricordati del dr.Roberto (presidente del Cumse), del progetto di telemedicina con l'università di Torino, degli aiuti reciproci che ci si è scambiati in tutti questi anni.... ed ecco pronti una ventina di scatoloni di farmaci. Già, ma il nostro corriere inviato in avanscoperta, pensava fossero un paio solamente. Un carico così, su un normale pulmino non sarebbe certo passato inosservato. Così, per non aver problemi alla frontiera, abbiamo preso il nostro bel jeeppone, e siamo partiti. Al confine siamo arrivati a sera. Abbiamo attraversato un parco naturale ma eravamo davvero di corsa, così abbiamo preso solo pochissime foto. Ma tanto avevamo già deciso di ritornare in stagione secca, quando gli animali si avvicinano senza problemi alle poche pozze d'acqua ed è così possibile osservarli (accompagnati dall'opportuna guida del posto, in piena sicurezza).

Abbiamo mangiato in strada, in un "ristorantino" gestito da mussulmani. Io, stordito dal viaggio e totalmente rilassato, non mi sono ricordato che non era il caso di ordinare una birra (ne avevo una voglia matta!), ad un mussulmano. Mi ha guardato male, poi mi ha concesso il beneficio del dubbio visto che ero bianco. Il pollo non era male e nemmeno il resto (che non so cosa fosse). La fame era tanta; a pranzo avevamo preso qualcosa al volo. Adesso volevamo solo andare a dormire. Appuntamento domattina alle 6.30.
Abbiamo dormito in una piccola bettola, fuori dal centro città.

Alle sette e trenta siamo al confine. C'è coda.
Per noi non è possibile passare, siamo bianchi e desteremmo sospetto. Inoltre non abbiamo il visto per entrare. Il nostro piccione viaggiatore sale sulla jeep e passa senza problemi. Il logo della comunità europea sulle portiere apre strade inimmaginabili. Aspettiamo solo un paio d'ore; ritorna con il cassone pieno di scatoloni di farmaci.
Missione quasi compiuta, ora ci aspetta il viaggio di ritorno verso casa. Il sole picchia duro, i finestrini sono tutti giù. Facciamo a cambio, due ore di guida a testa. In tre dovremmo farcela ad arrivare entro sera, se non facciamo troppe tappe. La strada e le buche che non avevamo visto il giorno prima venendo, ora sono più chiare. E' asfalto, ma non si può chiamare strada. Ci fermano a quasi tutti i posti di controllo, ma ci salva sempre il colore della nostra pelle e quel semplice marchio Ue sulla portiera. Incrociamo diversi militari sulle camionette, bardati di tutto punto. Non c'è guerra, ma un mitra in mano fa sempre la sua figura. 
Alle quattro suona il telefonino. Sono le nostre ragazze che chiedono a che punto siamo. Ci siamo. Abbiamo appena passato il classico cartellone pubblicitario della birra "33" che annuncia appunto che mancano 33 km a garoua. Arriviamo stufi, sfatti, sudati ma contenti.

In tavola Paolo, Barbara e Cristiana ci fanno trovare ogni cosa. E' un regalo. Tortelli alle erbette con sugo, patatine, dolce e....gelato. Tutto fatto in casa. Si festeggia. Sono contento per quello che abbiamo fatto; nulla di grande, ma aveva un senso. Non salveremo mille vite, ma sento che tutti abbiamo collaborato per lo stesso fine. Anche chi era a casa ad aspettarci.

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