sabato 20 marzo 2010

CARCERE

Martedì. Oggi è prevista la nostra visita all'interno del carcere. Siamo io, Barbara, Paolo e gli educatori dei ragazzi di strada. Ritrovo alle ore 9.00. Il carcere è in città, non distante dal Palazzo di Giustizia. E' una struttura fatiscente. Nemmeno il tempo di entrare e già sul piazzale si scorgono le guardie a controllare una serie di condannati intenti a pulire la strada. Sembra un film; ma i condannati non hanno le catene ai piedi, nè la divisa a strisce.
Entriamo e forniamo i nostri documenti. Jacques – molto formale – ci tiene che veniamo presentati al direttore del carcere. Aspettiamo per 10 minuti buoni in una stanza antistante quella del direttore. Nel frattempo un impiegato (giù per sù dell'età di 35 anni) gioca al computer dinnanzi ai nostri occhi. Jacques gli pone delle domande, lui risponde, ma senza distrarsi dal suo gioco. Entra una assistente, che ci squadra...e poi si mette a suggerisce al collega le mosse da fare al videogioco. Quando il direttore esce dalla sua stanza per presentarsi, i due continuano imperterriti a giocare, senza che la cosa possa minimamente preoccuparli. La presentazione è un vero e proprio pro-forma. Una stretta di mano ed una domanda doverosa ma disinteressata sul motivo della nostra visita.
Ci fanno entrare. Superate le sbarre, ci accoglie un ragazzo che avrà circa 30 anni. Sembra un dipendente, invece è un condannato. Si è beccato una quindicina d'anni per una colossale truffa allo Stato. Da noi sarebbe fuori, senza troppi problemi. E' ben vestito: mocassino bianco di Gucci, pantalone classico con piega perfetta, camicia appena stirata, anch'essa con piega sulle maniche, chiuse da due gemelli d'oro. Orologio classico, con cinturino in pelle. Sbarbato di fresco, con una sua discreta pancetta; indice che mangia e non se la passa poi tanto male. E' lui che ci conduce in visita al carcere. E' lui il boss. E' lui il responsabile dei minori in carcere. A lui si rivolgono con fiducia gli educatori di strada, perché segua il progetto di reinserimento dei minori.
Appena vedono entrare dei bianchi (Paolo in realtà viene due volte la settimana), c'è agitazione. Tutti vogliono stringere la mano al bianco, tutti chiedono un aiuto.
Qui i condannati non sono separati per gravità della pena. Sono tutti insieme, ammassati. Le condizioni igieniche ricordano le carceri turche dipinte nei film hollywoodiani. Per terra avanzi di cibo, acqua putrida. I condannati ammalati sono in fila per ricevere il rancio. Si mangia una volta al giorno. Il pasto consiste in farina cotta nell'acqua (una specie di polenta). A cucinarla ci pensano i carcerati stessi, ma senza troppa cura. C'è poi un piccolo mercato interno al quale – pagando - si può acquistare un pasto decente. I soldi devono arrivare dai familiari. Ovviamente c'è la cresta.
Visitiamo le stanze. 14 letti in tutto. Si dorme due per letto, insieme. Non a turno. Altri tre dormono sotto il letto. Altri quattro per terra, tra un letto e l'altro. In una stanza da 14 letti dormono in 160. Vero. Gli altri dormono nelle docce. La malattia più comune è la scabbia. Non manca l'aids, la tubercolosi ed altre malattie "comuni". In teoria c'è una zona del carcere riservata ai minori, con un piccolo spazio dove possono confezionare borse, portafoglio, collane da vendere all'esterno. In realtà la sera c'è molta promiscuità. Non è corretto parlare di prostituzione, piuttosto di violenza. In tutto gli uomini sono 1500.
C'è pure una sezione femminile. Sono in 8, separate dai maschi da un portone di ferro. Spesso aperto. Nessuna delle condannate è dentro per omicidio (del marito); piuttosto, la pena più comune è legata al tentativo di aborto e alla stregoneria.

Terminato il "giro illustrativo", con Jacques ci dirigiamo verso la chiesa del carcere. Al suo fianco la moschea islamica. Il giro è servito per farci vedere, per far capire ai ragazzi che tra poco è l'ora della verifica. Gli educatori, infatti, il giovedì si recano in carcere per un programma di informazione sanitaria e il martedì interrogano. A chi risponde correttamente viene regalato un frutto. In questo modo cercano di incentivare l'attenzione al programma.
L'appuntamento è in chiesa, l'unico posto sufficientemente pulito della prigione. I ragazzi che ci vedono per la prima volta chiedono chi siamo. E a me chiedono perché ho i capelli rossi. Mi invento una storia (in francese), sui miei discendenti: condottieri del nord europa, poi stabilitisi in Irlanda. Fa presa. Poi mi ricordo che in realtà sono il marito del medico...
Alle 11 usciamo da carcere, non senza aver potuto ammirare un paio di tizi che, per muoversi, saltellavano: avevano i piedi incatenati. Pena che scontano gli "irrequieti", ovvero quelli che creano risse all'interno del carcere. Un altro paio ci chiedono l'indirizzo; una volta usciti vorrebbero poter tornare in Italia con noi, a cercar miglior fortuna.

1 commento:

  1. Era un po' che viaggiavo tra queste pagine in attesa di nuove e fresche notizie, e mi fa piacere averle trovate.
    Ma subito la sensazione di tristezza e di "groppo in gola" mi assale...
    Carceri, acqua, fatica...mali comuni a molti luoghi, ma medesima sensazione di impotenza.

    Un bacio

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